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Editoria, Bookshops, Fotografia e Beni Culturali:

cosa succede quando l’editoria culturale e le riprese fotografiche sono privatizzate e non liberalizzate

di Marco Maraviglia

 

PARTE 1a / PARTE 2a

 

Come è difficile fare editoria sui Beni Culturali

Supponiamo che un Editore voglia realizzare una dettagliata guida turistica di Napoli con innumerevoli foto che accompagnino i testi descrittivi dei luoghi: ardua impresa!

Negli anni ’90, tra la Legge Ronchey (legge 4 del 14.1.1993) e il Testo Unico Beni Ambientali (D.Lg.vo 29 ottobre 1999 n. 490), era tutto più “facile” in quanto i fotografi professionisti che intendevano realizzare riprese fotografiche per gli editori, chiedevano direttamente alle sovrintendenze i permessi a fronte del pagamento di un canone secondo un determinato tariffario.

Tali leggi furono fatte per cercare di creare una fonte di reddito per incrementare i fondi per il mantenimento e restauro dei Beni Culturali.

 

La privatizzazione dei servizi per i Beni Culturali

Dal 1 Maggio 2004 è entrato in vigore il Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio -ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137-) che di fatto ha aperto la strada alla privatizzazione dei servizi dei Beni Culturali: biglietterie, ristorazione, vendita cataloghi, merchandising, organizzazione di mostre.

Le sovrintendenze locali hanno l’autonomia di indire avviso di gara per licitazione privata (scarica da qui un esempio) comprendendo, tra le concessioni editoriali:

 

le immagini d’archivio e riproduzioni ex-novo dei Beni Culturali, senza gli oneri di cui alla Legge 4/93 –Legge Ronckey- e senza gli oneri di cui all’art. 115 del D.leg.vo. n. 490/99. ai fini della riproduzione editoriale e cartolibraria.

 

Questo significa che per un fotografo è attualmente ancora più difficile poter realizzare immagini fotografiche dei beni culturali perché dovrà scontrarsi con una sorta di veto della concessionaria che, pur di non entrare in concorrenza con pubblicazioni di altri editori, non faciliterà le riprese fotografiche illustrandone la procedura.

Fatto sta che in molti siti sono controversi i limiti sui beni culturali vincolati alla Legge: un elenco dettagliato di ciò che puo’ essere fotografato liberamente o meno non esiste in molte Sovrintendenze, e non c’è quindi da stupirsi se, mentre state sulla terrazza del Castel S.Elmo a Napoli, sarete avvicinati dai guardiani che vi vieteranno di fare foto persino al panorama. Al sottoscritto è capitato.

 

Pagare il canone per fare le foto

D’altro canto, se sapete muovervi nella burocrazia, riuscirete ad entrare negli uffici delle sovrintendenze per chiedere espressamente di voler pagare il canone per effettuare riprese fotografiche, ma la vostra intraprendenza ed onestà potrebbe non essere premiata.

Il problema è che mentre con la Legge Ronchey esisteva un preciso tariffario per il pagamento dei canoni relativi alle riprese fotografiche, con l’attuale Codice dei Beni Culturali le tariffe sono demandate alle singole sovrintendenze locali. Ma molte di queste sono ben molto più indaffarate in problemi più importanti che stilare un tariffario!

Pertanto, sembra quasi che il meccanismo sia congegnato a monte per scoraggiare i fotografi (e quindi gli editori) e dissuaderli dall’intento.

 

Chi ci guadagna?

Non per fare illazioni, ma sembra che questa coincidenza di mancate responsabilità non faccia altro che portare acqua al mulino ai concessionari dei bookshop che, a fronte della loro produzione editoriale, avvantaggiata dall’esclusiva possibilità di riprodurre gratuitamente opere d’arte e beni culturali in genere, non subiscono una forte concorrenza da parte di altri editori. Questo accade in un libero mercato.

La ELECTA (Gruppo Mondadori) è presente tra i concessionari dei musei civici di Roma, dei servizi dei musei veneziani, dei musei statali della Lombardia, dei principali bookshop della Campania ed è quindi leader nazionale nella rosa dei concessionari dei servizi dei beni culturali.

 

“Per la legge Ronchey (sulla quale sono comunque applicati i contratti attualmente in essere) Electa deve avere nei propri bookshop dal 50% al 70% di titoli di altri editori. La concessione dei bookshop viene affidata dalla singola soprintendenza e non a livello nazionale”

(Susanna Tomei, Segreteria tecnica di Presidenza di confcultura.it)

 

50-70% dei titoli di altri editori trattanti i beni culturali, nei bookshop. Non sempre è così.

Trattasi di oligopolio? Se ne discute cercando di mettere ordine con un regolamento più preciso per cercare di non arrivare a inchieste parlamentari per conflitti di gestione (v. il caso SCABEC)

 

Le concessioni, secondo la legge Ronchey e di seguito il Testo unico dei beni culturali (ora abrogato e sostituito dal codice dei beni culturali), avevano durata di 4+4+4 anni (ogni 4 anni la soprintendenza può verificare l'operato del concessionario e "rinnovare" il contratto in caso di giudizio positivo).

Confcultura ha partecipato al tavolo per la definizione del decreto art.14 collegato alla finanziaria 2007. Ha partecipato anche al tavolo per la stesura del regolamento che però è stato interrotto dal ministero a causa della caduta del governo. Il regolamento che è stato firmato il 7 Marzo 2008 dalla Corte dei Conti e quindi in via di attuazione non è stato approvato da Confcultura che ha affidato ai suoi legali lo studio per una eventuale impugnativa.”

(Susanna Tomei, Segreteria tecnica di Presidenza di confcultura.it)

 

La Confcultura è l’associazione che raggruppa gli operatori ai servizi museali e, date le incoerenze ed inefficienze del sistema di gestione di tali servizi, ha redatto con la Confindustria un dettagliato libro bianco indicando eventuali soluzioni per tappare le falle che ancora emergono nelle attività di sviluppo economico delle attività culturali tra cui la gestione dei bookshop.

 

Il potere economico del bookshop

Se si considera che l’attività editoriale dei concessionari dei beni culturali è una voce economica fondamentale dei loro servizi, è “normale” che sia una grande casa editrice come la Mondadori (ELECTA) ad entrare in questo mercato culturale facendo la migliore offerta alle sovrintendenze appaltanti. Ed è altrettanto “normale” che faccia comodo una mancata dettagliata regolamentazione sulle riproduzioni dei beni culturali. Privatizzazione in fondo, non fa certo rima con liberalizzazione.

 

Le riprese fotografiche ai Beni Culturali

Sarebbe opportuno che all’ingresso dei musei e in altri siti culturali, sia espressamente indicato fuori le biglietterie se è consentito fotografare, specificando la possibilità o meno di utilizzare il flash e/o un treppiede.

A Barcellona, nonostante la Fondazione Gaudì sia a caccia di donazioni per continuare i lavori della Sagrada Familia, autorizzano riprese (senza flash e senza treppiede) in tutti i siti del genio Antoni Gaudì. Vale lo stesso per gli interni della Fondazione Mirò, per la Cattedrale del Mare e per tanti altri monumenti.

In Spagna si è probabilmente capito che ogni foto scattata, da un fotoamatore o da un professionista, non può essere che veicolo di diffusione turistica dell’immagine.

 

Liberalizzare le riprese ai Beni Culturali

All’estero ci sono alcuni musei dove con un piccolo sovrapprezzo, al turista è concesso di fotografarne gli interni (senza flash le cui radiazioni danneggerebbero nel tempo i colori di affreschi, arazzi, vasi antichi…). E’ un modo intelligente di fare cassa e di incrementare la produzioni di immagini che saranno poi viste da amici e parenti che, incuriositi, potrebbero decidere di andare a visitare quei luoghi.

La diffusione di immagini amatoriali (tra amici) o professionali (su libri e riviste) di un sito culturale, è "acqua al mulino" in quanto contribuisce a far conoscere luoghi anche misconosciuti ai turisti italiani e stranieri incrementandone l'affluenza e dando quindi una buona spinta all'economia turistica: non solo per quanto riguarda gli incassi ai botteghini dei musei, ma anche di tutto l'indotto: alberghi, trasporti, ristorazione, commercio e tutte le attività connesse.

 

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